La carne di cavallo, il cui uso è senza dubbio antica, ha subito nel tempo alterne vicende. I Papi Gregorio III e Zaccaria I, ad esempio, ne hanno vietato il consumo e ancora oggi in molte parti del mondo e d’Italia la carne di cavallo non è usata, forse, come sostiene la Dott. Corvi, per il particolare rapporto effettivo uomo-cavallo.
Praticamente rimane un cibo caratteristico della cucina locale solo in alcuni territori: il Salento, Napoli, Parma e Piacenza.
Nel periodo napoleonico anche a Piacenza si aprono macellerie equine distinte dalle altre, usanza che perdura tuttora. Nella seconda meta’ dell’ ottocento nella nostra citta’ per motivi di ordine sanitario viene proibita la vendita di carne equina, e questo favorisce la macellazione clandestina. Evidentemente il consumo questa carne doveva essere molto radicato nel territorio piacentino se
il giornalista Giovanni Bianchi nel 1869 sulla “rivista agricola di Piacenza” si chiede perché il comune continua a mantenere vigente, in odio alla carne equina, un antico divieto che dopo tutto non ne impedisce il commercio ed il consumo fra il nostro popolo” ed auspica “di licenziare la pubblica macellazione e il pubblico spaccio impedendo così al nostro popolo il contrabbando di una carne sana, gustosa, nutriente e di poco costo”.
Nel secondo dopoguerra e fino agli anni settanta il consumo di carne di cavallo è molto alto nella nostra città proprio per il basso costo e il grande valore nutritivo.
Il piatto più tipico della cucina piacentina a base di cavallo è appunto la “piccula ad cavall”, di cui si ignora la precisa origine.
Molti ritengono che il consumo di carne di cavallo da noi sia legato al fatto che Piacenza in passato fu città di caserme e che i cavalli al seguito degli eserciti, esaurita la loro attività, fossero venduti ed abbattuti.
La “piccula” nei momenti storici di povertà popolare era servita abitualmente con la polenta, che veniva posta in una zuppiera nel cui centro, scavando un buco, era versata la “piccula ad cavall”.
I commensali si servivano direttamente dal recipiente comune.
Nel giugno del 2010 è stata riconosciuta la Denominazione Comunale d’Origine; la ricetta che è stata depositata è di Carmen Artocchini.